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Spazio Labo’ – Centro di fotografia | Strada Maggiore 29 | Bologna
Sullo sfondo delle elezioni presidenziali del 2016, George Georgiou ha ritratto una delle principali usanze americane, la parata, o meglio, le community che assistono alle parate. Americans Parade è una parata di americani, uno dopo l’altro, da una comunità all’altra, che costruiscono insieme un ritratto degli Stati Uniti nel loro periodo più instabile.
Durante il 2016, Georgiou visita ventisei parate, in ventiquattro città attraverso quattordici stati: da grandi folle a New York o a Laredo, in Texas, a piccoli gruppi familiari a Baton Rouge, Louisiana o a Ripley, West Virginia.
«Osservavo il paesaggio e i gruppi di persone che attiravano la mia attenzione,» – dichiara Georgiou – «i momenti fugaci, ma ho anche abbracciato la generosità del medium fotografico, la sua capacità di registrare e fermare molto più di quanto io potessi captare».
La folla dona alla fotografia quell’elemento casuale da cui la fotografia stessa si può generare.
Attraverso dettagli, gesti e interazioni, Americans Parade esplora l’individuo, la comunità e le fratture sociali e politiche che hanno separato gli americani l’uno dall’altro dietro confini razziali, sociali e geografici. Il risultato è una narrazione piena di complessità e ambiguità, come una serie di tableaux della modernità, un ritratto di gruppo degli Stati Uniti, di identità multiple, in cui le persone stanno insieme, in un gruppo di sconosciuti.
Human vision cannot take in all of a complex scene in the moment, but a camera can.
David Campany, dalla prefazione del libro Americans Parade, BB Editions, 2019
Una parata di americani.
Dodici mesi a girare in lungo e in largo gli Stati Uniti d’America con un ambizioso obiettivo in mente: realizzare il ritratto di famiglia di una nazione. Senza mettere in posa nessuno, senza farsi vedere, paese per paese, città per città, ma soprattutto parata per parata. È questo in pochissime parole Americans Parade, l’ultimo libro del fotografo britannico George Georgiou.
Una parata di americani, ma anche gli americani in parata. Piccoli spostamenti semantici per mappare diversi aspetti di uno stesso gesto: l’osservazione attenta di una nazione che si riunisce, una comunità alla volta, e partecipa a un rito collettivo di aggregazione e condivisione, per guardare qualcosa, per palesarsi e impossessarsi di quelle strade che nella quotidianità appartengono a microcosmi isolati che raramente si incontrano.
È un piccolo miracolo quello che si compie nelle fotografie di Georgiou: un balletto di sguardi che si rimandano tra di loro come in una stanza degli specchi. C’è il fotografo che guarda le persone dall’altra parte della strada, mentre a loro volta guardano qualcosa che è spesso fuori dal campo di visione della fotografia; ci sono gli occhi di quelle persone, i soggetti fotografati, che guardano in ogni direzione, mai verso l’obiettivo della fotocamera; c’è infine l’occhio meccanico, rigido e implacabile, del dispositivo ottico, la macchina di piccolo formato che Georgiou tiene stretta a sé, per avere fluidità di movimento e rimanere invisibile nel suo lavoro di osservazione.
Un apparente controllo formale di ogni aspetto dell’immagine, dalla coerenza del bianco e nero che non permette distrazioni alla serialità delle inquadrature, lascia ampio spazio alla casualità dell’incontro tra questi diversi sguardi e alle loro rispettive capacità di generare significato. Il fotografo sceglie lo sfondo su cui aspettare i suoi soggetti – quel paesaggio a cui la lunga tradizione della fotografia statunitense ci ha abituato – ma l’attimo stesso in cui si concentra su uno di loro perde il controllo degli altri, liberi di agire e performare la vita di fronte alla macchina fotografica, a sua volta attenta e rigorosa osservatrice di tutto quello che sfugge all’artista e ai suoi soggetti. Georgiou stesso dichiara di aver ricercato la generosità della fotografia, la compartecipazione dello strumento meccanico nella realizzazione del progetto, pratica che d’altra parte fa sua anche in altri lavori, tesi sempre a interrogare il ruolo del mezzo stesso.
Americans Parade è una parata di partecipanti alle parate, dove non è l’evento a cui si assiste, e che noi d’altra parte non vediamo, a essere rilevante, ma appunto chi ne prende parte, chi usa la strada come palcoscenico da cui osservare, e farsi osservare: comunità casuali di persone, sconosciuti che condividono poco più che un pezzo di suolo pubblico in un preciso tempo. Siamo portati a pensare che siano lì insieme per una qualche affinità elettiva – e per certi versi è così, condividono almeno il rito, lo spazio, la necessità di partecipare a un momento che rende visibile il loro essere comunità, che li palesa in quelle stesse strade che ogni giorno percorrono come individui isolati, magari nei loro autoveicoli, sicuramente nei loro mondi –, ma non è necessariamente detto: quelli che vediamo sono per lo più estranei che stanno insieme.
Le fotografie creano un’illusione di comunità: è quel tentativo di “ritratto di famiglia”, in assenza di famiglia, o meglio con un’idea allargata di famiglia, di cui si parlava all’inizio. Stiamo guardando una nazione intera, all’apparenza partecipe a un destino comune, ma fondamentalmente divisa, nella Storia e nella contemporaneità.
Siamo di fronte a una serie di istantanee degli americani di oggi: la loro apparenza, la forma dei corpi, il modo in cui si presentano gli uni agli altri, i vestiti, i visi, i gesti, le espressioni, gli oggetti che portano con sé. Ovunque, gruppi di persone chiedono la nostra attenzione: per identificare somiglianze, differenze, contrasti, stranezze, vicinanze, distanze e ogni altro tipo di informazione. Corpi che si toccano, condividono uno spazio ristretto, un tempo dilatato al di fuori delle loro specifiche esistenze. In un momento storico in cui la parola assembramento ha ricevuto una notorietà impensabile fino a poco tempo fa, è quasi imbarazzante trovarsi di fronte alle immagini di Americans Parade.
Non ci si può nemmeno esimere dal guardare queste fotografie associandole all’anno in cui sono state scattate, il 2016 della campagna elettorale per le presidenziali che è culminata con l’elezione di Donald Trump a quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti: per quanto sospese formalmente nel tempo, portano con sé tutto quel groviglio di divisioni e tensioni che ha caratterizzato gli eventi di quell’anno; siamo noi a inserirlo nell’immagine. Come siamo noi a creare un collegamento tra il novembre di quattro anni fa e il novembre che ci stiamo apprestando a vivere, con una nuova elezione alle porte. La presenza di Georgiou da questo punto di vista è discreta: non carica le immagini di interpretazioni politiche dirette, lascia che l’osservatore si interroghi e tragga le sue conclusioni. Le fotografie ci invitano a fermarci e pensare, osservando pazienti come quando ci si trova pazienti all’interno del percorso di una parata ad attendere l’arrivo dei carri, della banda, del corteo; ci restituiscono, anche, un illusorio senso di appartenenza che è balsamo per il tempo di isolamento che stiamo vivendo.
Se non ci stanchiamo di osservare le immagini di Americans Parade, di cercare al loro interno riferimenti alla nostra attualità, locale e globale, è grazie alla libertà, al privilegio che l’autore stesso ci concede: di lasciare lo sguardo a vagare all’interno della complessità del mondo inquadrato, di dare vita a un coro di interpretazioni possibili.
Laura De Marco
George Georgiou
George Georgiou è nato a Londra nel 1961. Il suo lavoro indaga principalmente le complessità dell’individuo in relazione alle comunità e allo spazio pubblico. Ha prodotto tre monografie: “Fault Line/Turkey/East/West” nel 2010, “Last Stop” nel 2015 e “Americans Parade” nel 2019, anno in cui è stato selezionato in shortlist per il premio del miglior libro fotografico indetto da Aperture/Paris Photo. “Americans Parade” è attualmente in mostra presso l’ICP – International Center of Photography a New York City. I suoi progetti sono stati esposti in diverse gallerie e musei in tutto il mondo e le sue immagini sono state incluse nella prestigiosa mostra “New Photography 2011” al Museum of Modern Art di New York. Le opere di Georgiou fanno parte delle collezioni di diverse istituzioni e collezionisti privati, tra cui il Museum of Modern Art di New York City e la collezione Elton John. Infine, ha ricevuto diversi riconoscimenti di caratura internazionale, tra cui due premi World Press Photo nel 2003 e 2005, il Project Prize del The British Journal of Photography nel 2010 e il primo premio del Pictures of the Year International nel 2004.
Maggiori informazioni: georgegeorgiou.net
AMERICANS PARADE
28.10.2020 / 18 giugno 2021
Inaugurazione:
mercoledì 28 ottobre ore dalle 18 alle 21. Prenotazione per fascia oraria obbligatoria: https://bit.ly/34Tr3Vl
Libro:
In occasione della mostra sarà possibile consultare e acquistare l’omonimo libro Americans Parade (BB Editions, 2019).
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